La Pesca dei ”Pupiddrhi”

Un interessante storia proposta e raccontata dai nostri amici di ecclesiacesarina

Con l’avvento e l’utilizzo del motore definito ”a scoppio” nel 1956, le imbarcazioni subiscono una profonda trasformazione. La lunghezza spazia dai 5 agli 8 metri, mentre la potenza dei motori varia tra i 5 ed i 25 HP. Tutto ciò da la possibilità di raggiungere distanze e profondità maggiori. Questa trasformazione si riflette anche nell’attrezzature di bordo.

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Nel 1958 le reti di canapa vengono sostituite con le reti in nylon e ciò contribuisce ad aumentare il pescato grazie alla sua maggiore maneggevolezza. Primogenita di tale trasformazione è lo spidone, cioè una vera e propria rete ad una facciata del tipo: 210/2 a due capi, di 2 metri di altezza, con nodi maglia 18 – 19 – 20 a palmo e lunga 30 metri circa.

Da lì si sviluppa la cosiddetta ”Pesca dei Pupiddhi”

La pesca dei pupiddrhi era guidata da un ”trattato” tra il comandante della Capitaneria di Porto ed i pescatori del posto. Un regolamento che affermava varie trattative, ma allo stesso tempo racchiudeva: il periodo e il rispetto della zona di pesca; il tipo di rete da usare (quest’ultimo particolare al fine di favorire l’accrescimento e la riproduzione del pesce) e molto altro ancora. La zona di pesca dei popilli, dette comunemente “ovadi”, era distante dalle 2 alle 3 miglia dalla costa, ad una profondità variante tra i 10 e i 30 metri.

Tratto dal libro “La salsedine ha solcato il mio cuore” di Antonio Durante.

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